Non mi piace granché “simulazione gara” : sa di tecnico, di asettico, di distaccato. In realtà la simulazione gara è solo un’altro lungo di corsa, fatto con l’attrezzatura e le tattiche cui si pensa di voler ricorrere in gara.
Il giorno della simulazione gara manca poco più di un mese alla gara. Fa caldo, mi sono fatto la barba (quasi) e mi sento abbastanza bene.
Indosso una maglietta bianca, i pantaloncini che voglio usare in gara, la cintura per il materiale, il cappellino e le scarpe. Preparo sul tavolino all’ingresso i gel che passerò a prendere a metà giro, momento in cui ne approfitterò anche per riempire le borracce.
La scorsa settimana ho incontrato Gabriele, nutrizionista che mi segue da un po’, per pianificare insieme la strategia di gara: cosa mangiare e quando. Mi ha preparato uno schemino che oggi proverò a seguire, mi ascolterò cercando di captare i segnali del corpo: troppo veloce, troppo piano, troppo teso, rilassato, li il gel è scomodo, sfrega troppo, qui è perfetto, devo bere più regolarmente.
Bagno la fascia, stringo le scarpe temporeggiando ancora qualche secondo. Fuori però il sole splende già e non c’è niente che mi trattenga oltre.
Premo start sull’orologio gps. Bastano due minuti, una manciata di bocciate d’aria, e la mente già divaga sul quanto sia bello correre liberi: quando parto e so di avere la giornata per me, per correre, è tutto un altro andare: non so se starò fuori quattro, cinque o sei ore, so che non dovrò pensare ad altro che correre. A volte mi perdo nei ritmi ipnotici della corsa: il passo e le foglie sotto i miei passi, o la ghiaia, le braccia, il fiato, il sudore. Altre volte mi perdo in pensieri o ragionamenti e mi dimentico completamente del corpo, che procede in autonomia fino al prossimo ostacolo, incurante.
Correndo nei boschi mi piacciono i dettagli: il vecchio ramo nodoso, la pietra dalla forma strana, il ruscello che prima della pioggia non c’era, il capriolo la sotto tra gli alberi. Ma ciò che amo ancor più dei dettagli sono i paesaggi che scorrono: mi piace quando il bosco si apre, vedo la collina lontana di fronte a me, il paese con il campanile ed i tetti rossi ai suoi piedi, le montagne innevate che lontane si fondono col cielo, poi corro, passa un’ora, mi guardo intorno ed il paesaggio è mutato completamente, ora lontano vedo la collina sulla quale correvo prima, e altri spazi davanti a me, altri paesi e altre montagne. Quando sono fuori non c’è esperienza che mi appaga di più del vedere il paesaggio mutare nel tempo.
Arriva l’ostacolo, lo strappetto, l’attraversamento stradale e per qualche momento torno presente: sto mangiando? Sto bevendo? Mi sento bene? Sono nei tempi che mi ero dato? Sto sempre simulando la gara e l’obiettivo oggi è portarsi a casa un bagaglio di sensazioni e dati che in qualche modo possano essere da guida; sto dicendo al corpo: facciamo nostro questo ritmo perché tra un mese balleremo per una giornata intera.
Quando sento che mi sto rilassando troppo rilancio, cercando di tenermi il più vicino possibile a quella linea oltre la quale la fatica diventa fastidiosa. Quando capita la supero mi ascolto per un po’ e poi rallento, per tornare li dove voglio stare, nel mio sweet spot.
Passano le ore, passa il ristoro improvvisato a casa, aumenta la temperatura. Decido di affrontare l’ultima salita, gli ultimi 40 minuti, quei quattro chilometri di salita e quattro di discesa in più rispetto ai due lunghi precedenti, senza riempire le borracce, trascurando un po’ lo schema impostato, giocando con sensazioni e condizioni nuove, più dure, uscendo da quel mio sweet spot. Faccio fatica, voglio rallentare ma vedo che i numeri restano buoni. Volevo vedere cosa si prova a salire dopo cinquanta chilometri di corsa, sotto il sole e con poca acqua, dire al mio corpo: non succede perché avremo sempre le borracce piene, ma nel caso, questo è… ti ricordi? Ci siamo già passati altre volte.
Arrivo in cima alla salita, mi godo 2 minuti la primavera anticipata, mi giro e torno a casa.
Ecco cosa ho mangiato: 🍫 440g carbo (~90/h) 💦 500ml/h (da alzare) + 2.500mg sodio
E’ stata un’uscita tosta, volevo che lo fosse, doveva esserlo.
La settimana successiva ho fatto fatica a recuperare e non mi sono sentito veramente bene fino all’uscita di 7 giorni dopo.
Nelle ultime settimane ho allenato il mio corpo a fare suo un certo ritmo, a stare a suo agio poco oltre la comfort zone, li dove correre comincia ad essere sfidante. Sento di aver fatto ciò che andava fatto ed ora ho solo voglia di gareggiare, di buttarmi in battaglia. Chiudo lasciandovi e lasciandomi un monito da Kenshin, grande generale giapponese del XVI secolo:
Chi si aggrappa alla vita muore, chi sfida la morte vive. La mente è ciò che conta davvero. Guardate dentro la mente e prendetene fermamente possesso. Comprenderete allora che c’è qualcosa in voi che è al di sopra del ciclo nascita-morte, che non annega nell’acqua e non brucia nel fuoco. Chi indugia da abbandonare la propria vita e ad abbracciare la morte non è un vero guerriero.
Buon weekend e buone corse guerrieri.