Sarà che l’ultrarunning delle 100 miglia è nato da una corsa a cavallo; sarà che scendendo in Val d’Orcia, ormai fuori dall’autostrada, ascoltiamo il racconto di quella storia raccontata dai ragazzi di Buckled; sarà che la musica di Morricone col paesaggio verde e pettinato che scorre ci sta da Dio. Il viaggio nel viaggio che sto per affrontare ha il sapore di un’epica cavalcata.
[…]
Sabato 20 aprile 2024
Sono le 5:15 e come da copione lo start ci fa istantaneamente dimenticare che abbiamo 100 chilometri da percorrere davanti a noi: al diavolo il passo, ormai siamo in gara! Nei primi chilometri la discesa viene in soccorso della spavalderia e voliamo giù dalla Rocca di Tentennano. Passiamo il fiume e comincia la prima risalita: ci siamo sfogati e torniamo un po’ in noi, ora che il gruppo si è sgranato ognuno prende il suo ritmo e si può cominciare la gara.
I primi chilometri volano, alla luce della frontale, in lontananza i lumini dei poderi e dei centri abitati nel mare di campi della Val d’Orcia.
A San Quirico è già tempo di bagno per me, oggi va così. Mi libero di quello che riesco, riempo la borraccia, levo la maglietta lunga e riparto, galvanizzato dall’aria fresca dell’alba.
Il tratto successivo un po’ l’abbiamo curiosato ieri. Spengo la frontale e corro, cercando di trovare il mio ritmo, ora che sono solo. Supero qualche partecipante della 100 miglia, che saluto. Fa freddo, io sono in canotta ma non oso immaginare come debbano sentirsi loro che hanno tutta la notte gelida alle spalle.
Raggiungo Pienza, siamo a 20 chilometri. Giuli mi sporge un paio di gel e mi riempie la borraccia, ma io sono distratto, non ho ancora trovato il mio ritmo. Esco dal paese infilandomi l’antivento che l’aria si fa forte.
Il piano di integrazione, che ho studiato con Gabriele, è il seguente: 1 gel da 90gr di carboidrati ogni ora, 750ml di acqua con i sali ogni ora (che ho ridotto un po’ visto il meteo molto più fresco del previsto). Quindi nelle prime due ore mi tengo impegnato a cercare la cadenza sia nella corsa che nell’ingurgitare tutta quella roba: in pratica ogni 5-10 minuti o bevo o ciuccio un gel, ma piano piano mi ritrovo anche in questo.
Nei mesi scorsi mi sono allenato molto sul trovare e mantenere un ritmo, una regolarità nell’eseguire i passaggi ripetitivi: corri, ciuccia, bevi, riempi, metti in tasca, corri. Dopo due settimane di recupero però il corpo impiega un po’ a ritrovare quella “ritualità” ed io sono bravo a farmi distrarre da tutto il resto.
A Montichiello non la aspettavo, ma girando la curva incrocio lo sguardo sorridente di Giuli che, come per automatismo, scatta in piedi e mi viene incontro chiedendomi cosa può fare.
Uscendo dal paese sorrido. Sono passati ormai più di due ore e mezza ma sento che sono in gara, possiamo cominciare!
Raggiungo Andrea (Macchi) con cui scambio due chiacchiere fino al primo guado sull’Orcia (35km) poi allungo un po’ il passo e lo stacco. Vedo avanti a me altri due concorrenti e mi impegno a raggiungerli; condivido con loro la strada fino al ristoro di Gallina (44km).
Le gambe cominciano a bruciare un po’. Gli ultimi 16km ho corso bene, ma forse senza tenere conto del tratto successivo. Comincia la prima salita impegnativa che ci porta a Campiglia d’Orcia (54km). Ora i quadricipiti bruciano veramente tanto, fitte lancinanti ogni volta che si ripresenta un tratto in discesa. Devo cambiare scarpe.
Raggiungo la base vita con Davide, corro in bagno per la seconda volta, tappa obbligata. Cambio le scarpe, metto su un paio di Asics comode di seconda mano recuperate giusto la scorsa settimana e le gambe ringraziano fin dai primi passi.
Comincia la discesa che porta fino all’attacco della seconda, lunga salita. Ora sono solo a parlare alle mie gambe doloranti.
Passo, fitta, gellino, fitta, borraccia, passo, fitta.
Bagni San Filippo, ristoro e poi ancora su, metto la ventina, comincia a piovere, scende la nebbia, fa freddo. Il sentiero si alterna a tratti di strada in salita, sembra di essere sulla collina dietro casa. Altri runner della 100 miglia, poi comincio a controllare l’orologio più spesso, quando finisce la dannata salita?
Scollino e le mani mi si gelano: non ci faccio caso, ci sono abituato, le mie mani hanno questo problema. Se non altro i geloni mi distraggono dai quadricipiti in fiamme. Mi affretto a perdere quota, dimentico la gara, voglio solo perdere quota.
Il ristoro di Vivo d’Orcia compare all’improvviso nel bosco, un chilometro prima del paese: con la coda dell’occhio vedo Davide, che con un grido di incitamento mi saluta e si dilegua nel bosco. Sul momento non ho la lucidità di lanciarmi all’inseguimento: mi fermo, mi faccio aiutare da Giulia ad infilare i guanti. Pure qua è riuscita a raggiungermi, mentre riparto penso a quanto sia importante oggi Giuli.
Il tratto successivo è lungo e monotono: si scende e si sale, non so quante volte. Siamo ormai lontani dalle dolci colline a perdita d’occhio: qui i valloni sono più stretti, chiusi e ripidi.
Sono al chilometro 83, corro da più di 8 ore, sto scollinando per l’ennesima volta, corricchiando a bordo strada e realizzo la situazione assurda che sto vivendo: sto davvero correndo su e giù da 80 chilometri?
Finalmente raggiungo il penultimo ristoro: Poggio Rosa. Giulia è in pensiero: non arrivavo più. Mi faccio riempire un bicchiere di the, faccio per sedermi su una seggiola di plastica e me ne pento immediatamente: sento le gambe urlarmi.
Mi faccio coraggio e con Giuli riparto barcollando per due-trecento metri prima di rimettermi a correre. Lei prova a farmi coraggio rivelandomi che se riesco a superare tre concorrenti entro in top ten, ma so che è un’impresa impossibile. Decido di godermi il finale ad un ritmo confortevole, anche se il semplice fatto di muovermi avanti è impegnativo. Ultimo segmento, ultimi 16 km; un allenamento mi ripeto, solo più un normale allenamento da un’ora e mezza, l’ho fatto centinaia di volte.
E’ uscito il sole, comincio a cercare tra le colline la rocca che segna il nostro traguardo. Scambio due parole con un concorrente della gara lunga, supero l’ultimo ristoro, dove un gruppo di ragazzi ha messo sul fuoco le costine, mi lancio tranquillo in discesa, con la musica negli auricolari. Poi sento suonare il telefono. Non rispondo: chi mai potrebbe essere? Squilla una seconda volta e sorrido, pensando alla comicità della situazione: io che corro da dieci ore, in un bosco sconosciuto, il sole, le pozzanghere, il silenzio più totale e poi la suoneria del cellulare. Alla terza lo tiro fuori, numero sconosciuto, che sia Giulia che chiama da un altro telefono?
- Pronto?
- Ciao Andre, sono Giuli! Non vorrei illuderti, ma prima devo aver interpretato male la classifica, davanti segna anche i ritirati: tu dovresti essere ottavo/nono! Non mollare ora! Non farti superare!
Chiudo la chiamata e mi metto a correre in salita come non facevo da non so quanto, infervorato da energie che non immaginavo più di avere e con il sorriso stampato in faccia. Lo sapevo, lo sapevo di essere in quella zona della classifica ed averne 12 davanti mi faceva strano, ma non avevo voluto crearmi illusioni ed ormai avevo accettato l’esito della gara. Ora tutto cambia, l’entusiasmo di Giulia per telefono mi ha rimesso al mondo: se ci tiene così tanto lei alla mia top ten, perché non dovrei tenerci altrettanto io?
Corro, farò i 6 min/km ma mi sembra di volare. Quando arriva la rocca? Quando arriva la rocca? Con la borraccia in una mano ed un gel nell’altra esco dal bosco e finalmente la vedo, col suo torrione sulla cima. L’ho aspettata per tutta la gara, per tutti i mesi di allenamento, questa indegna salita finale. Cammino, ogni tanto controllo pure dietro immaginandomi di essere inseguito, la mente gioca qualche scherzo a quest’ora. Salgo e rivivo tutto, le ultime ore, gli ultimi giorni, gli ultimi mesi. Entrando nel borgo mi commuovo, non ho più lacrime, ho sudato via tutto oggi, però provo dentro un senso di liberazione immenso. Muovo gli ultimi passi intorno alla Rocca di Tentennano e poi l’ultima discesa, le gambe che fanno troppo male per lanciarmi come vorrei, mi limito ad una corsetta barcollante, ora in punta di piedi ora strisciata per limitare il più possibile l’impatto a terra. Giro l’angolo e vedo il traguardo, con lo speaker che mi annuncia in sottofondo. Saluto Giuli, ringrazio per essere qui e per come ci sono arrivato, supero il traguardo limitandomi a salutare il fotografo, i presenti, ringraziando speaker e direttore di gara, ricevendo la medaglia in terracotta.
Pochi minuti e l’effetto dell’adrenalina svanisce, i battiti calano, il corpo può finalmente darsi pace e di colpo si rende conto di avere corso 100 chilometri di fila. Ora sono debole, ho i brivi e faccio fatica a mangiare.
Ancora una volta mi ritrovo menomato a sorridere: l’ho fatto di nuovo, mi sono di nuovo spinto al limite ed ho visto oltre il muretto. Quando vedi oltre il muro non puoi più farne a meno, una condanna a vita che inevitabilmente ti spingerà a tornare a voler vivere quelle sensazioni: volare, sparire dentro te stesso per ore e correre dall’alba al tramonto.
Forse è più facile capire chi scala le montagne, chi lotta per raggiungere la cima.
Noi corriamo per unire puntini nel paesaggio, per arrivare lontano, per coprire gli spazi. Ed è bellissimo.