One hundred miler
Allenarsi per correre una 100 Miglia (provarci) richiede un po' di tempo, molti paesaggi, un sacco di pasta.
Vorrei poter dire di aver trovato di nuovo un tempo da dedicare alla scrittura. Non ancora. La verità è che sto scrivendo nei ritagli di giornate piene. La gara si avvicina, pieno tapering: la priorità ora è sul riposo fisico e mentale. Ho dato tanto nelle ultime settimane, cercando di stipare quante più ore possibili di allenamento la sera e la mattina. L’ultimo weekend di carico ho corso 100 km in 3 giorni e dormito 10 ore in due notti, il tutto tra una sessione di riprese di 12 ore e altre 7-8 ore di video editing. Sono arrivato a lunedì stanchino.
In questo turbine di stimoli da gestire però, il caso (o il destino, o lo Spirito Santo) mi ha rimesso tra le mani un libro del quale avevo un immenso bisogno e non lo sapevo.
Quando un libro ti cambia la vita
Il mattino a colazione e la sera prima di coricarmi mi piace immergermi per una ventina di minuti nella lettura. Leggo di tutto ma era un po’ che non sfogliavo un libro sulla corsa. Un giorno, facendo mobilità vicino alla libreria, l’occhio mi cade sul dorso di Eat & Run, di Scott Jurek, un classicone un po’ datato.
Lo prendo in mano e lo sfoglio con un filo di sufficienza, immaginandomi già le argomentazioni sulle scarpe secche per una corsa più naturale, i burritos di fagioli ed i pasti crudi ad alto contenuto di fibre e semi. Cos’altro potrà mai darmi un libro sull’ultrarunning del 2005 che non sia già trito e ritrito?
Quella sera mi decido a cominciarlo, per la terza volta in sette anni probabilmente. E quello che (ri)scopro ha del sorprendente.
Nei giorni successivi lo divoro, proiettandomi in un mondo che avevo (avevamo?) completamente dimenticato. Per cominciare mi riconnette con la dimensione dolorosa dell’ultra running.
Oggi con lo sport - nella tendenza di volerlo rendere accessibile a quante più persone possibili, di voler creare attitudini ed approcci sani e sostenibili, di promuovere e mettere al primo posto l’igiene mentale - si tende a voler arrotondare tutte le punte. Per fortuna aggiungerei! Si promuovono processi di allenamento graduali, cura di se, accettazione dei propri limiti ed attenzione alle abitudini alimentari.
Perso in tutto questo però, ed in parte nel tentativo di voler normalizzare questa cosa agli occhi di chi ho intorno, ho finito per disconnettermi dalla durezza di uno sport che implica correre per ore ed ore, mangiando zucchero per sostentarsi e perdendo ore di sonno qua e la.
Scott col suo libro mi ha riportato a quelle calde serate estive post lavoro in cui esploravo i limiti del mio corpo per il gusto di farlo. Correre e basta.
Scott è un visionario. Ha capito prima di tanti altri che attraverso un corpo in salute si possono superare limiti che altri danno per invalicabili. Ho perso il conto delle volte in cui nel libro sottolinea come le sue performance siano profondamente legate alla sua dieta vegana…
… ed alla sua attitudine: la cosa che più mi ha toccato è il totale abbandono, la cieca dedizione e la ricerca senza compromessi con cui ha vive la corsa. Tutto ciò che fa e che sperimenta è mirato a migliorare la performance ed a scavare più a fondo dentro se. A diventare un essere umano più completo, consapevole, connesso con la natura che attraversa. Lo fa aderendo a diete e pratiche che oggi spopolano ma che negli USA degli anni ‘90 dovevano essere abbastanza insolite.
Non si limita a praticare uno sport, una disciplina. Fa della corsa il suo modo di comunicare, di stare al mondo. Costruisce la sua vita una corsa alla volta.
Scott racconta tutto questo senza dimenticarsi di affrontare il riscontro nel quotidiano: come questa sua vita interiore si mescola (e scende a compromessi) con quella che io chiamo vita reale. Quella condivisa con altre persone intorno a te, quella in cui bisogna pagare le tasse ed affrontare i bastoni che le giornate ti mettono tra le ruote, quella che ogni tanto ti porta a mangiare un hamburger anche se sei vegano.
Leggere Eat & Run mi ha aiutato a ritrovare la mia reason why. Perché mi sono avvicinato all’ultra running, quali erano le promesse di una vita dedicata alla corsa su lunga distanza. Non so se queste promesse mi accendono ancora, ma senz’altro ora ricordo dove e perché tutto è cominciato.
Forse questa lettura mi porterà alla 100 Miglia del Monviso, che correrò a fine settimana, con uno spirito più leggero, più disinvolto, affamato e curioso di vivere con tutto me stesso l’esperienza prima della gara.
Quattro anni di allenamento
Le ultra non si corrono solo con le vibrazioni ed i sentimenti. Quest’anno mi sono allenato molto in preparazione alla 100 miglia. Quello che potevo fare con il corpo è tutto archiviato su Strava e più di così, nelle attuali condizioni, difficilmente sarei riuscito a sostenere. Ho dedicato tanto di me.
Inoltre, come ci ricorda Rod Farvard, ognuno di noi ha dodici mesi in più di allenamenti nelle gambe rispetto all’anno precedente, e dodici mesi di esperienza in più in testa. Se prendo il grandangolo sui miei diari di allenamento, ho speso le ultime quattro estati ad allenare ultra maratone, le prime due per una gara a tappe di 180km in 4 giorni (MOT) le ultime due per la una 100 miglia (160km x 8.000m d+).

Kilian ci insegna che esiste un’inerzia biologica che si sviluppa negli anni: il nostro corpo impara e si adatta, le ultime 6-8 settimane prima di una gara possono essere dedicate a sessioni specifiche per lo sforzo che ci aspetta, ma è quanto fatto negli anni a determinare il nostro livello base di preparazione.
Questo mi aiuta a sgravare di un peso eccessivo le settimane pre-gara ed a concentrarmi su continuità e progresso a lungo termine.

Parlando di ultimi 3 mesi, qualche numero:
180 ore (18h/settimana caricando, 6h/settimana scaricando)
1.600 chilometri
70.000 metri di dislivello positivo
Ogni settimana ho cercato di mantenere un’uscita da 5-7 ore (senza guardare i km), 4 giorni da 15-30km divisi in due uscite e due giorni di scarico (8-12 km facili). Un’allenamento ad inizio settimana tirato, intorno alla soglia - ad inseguire da lontano i fuoriclasse della mia squadra - per il resto ritmi facili, occasionalmente qualche salita in zona 3.
Non sempre sono riuscito a fare le cose come pianificato ma in generale sono molto soddisfatto del flow che ho trovato e di non aver avuto fastidi o acciacchi particolari. Fermamente convinto che una dieta adeguata, calorica e ricca di verdure e frutta, abbiano contribuito.
Ora devo dedicare questi ultimi giorni alla mente, lasciarmi ispirare dalla leggerezza, dalla stravaganza e dalla determinazione degli ultrarunner. E divertirmi.
La gara è una festa: la celebrazione del percorso fatto nei mesi e negli anni precedenti, onorare le ore dedicate, i sacrifici ed i bei momenti che si sono consumati in preparazione alla gara.
Scrivo tutto questo per me. Per immortalare le sensazioni di questi momenti. Non so se qualcuno leggerà e si troverà d’accordo, se avrà qualcosa da aggiungere o se più avanti mi troverò a rileggere queste righe.
Per ora ringrazio tutti coloro che ogni giorno condividono una parte di tempo con me: Giulia, la family, Simo, gli altri collaboratori di lavoro, chi si allena con me, chi mi segue e mi ricorda di non mollare.
A chi condivide con me i sentieri, partecipe di uno sport meraviglioso. A chi sta scoprendo il magico mondo della corsa.